SOLUNTO

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Alla scoperta della Sicilia antica

Quello, che a primo impatto, colpisce il visitatore sono le bellezze naturali su cui giacciono, come un museo all’aperto, le rovine della città di Solunto: su una rupe del monte Catalfano, nei pressi di Palermo, da cui dominano il mare. Uno spettacolo suggestivo, pieno di luce e di colori che tocca l’anima: da un lato gli scavi della città fenicio-ellenistico-romana, dall’altro il “nostrum” maestoso mare. Fondata dai Cartaginesi nel IV sec. A.C., sembra, sui resti di un’antica città fenicia, rivaleggiò a lungo con Motya e Palermo, anch’esse fenicie. In seguito subì l’influenza dei greci, per poi essere conquistata dai romani, a seguito della 1° guerra punica nel III sec. A.C. Per questo l’origine del suo nome passa dal nome fenicio di Karafa (dalle monete del vecchio insediamento Kfra), a quello cartaginese Selaim (rupe), al nome greco arcaico di Σολος (Solos, roccia ferrosa), corrispondente al nome latino Soluntum. Passando attraverso l`Antiquarium , che ospita diversi reperti ritrovati sul luogo, si accede all’area archeologica: improvvisamente le pietre ci riportano indietro nei millenni. Si è catapultati, come per incanto, in un tessuto urbano di 2400 anni fa. La città, costruita secondo i dettami urbanistici di Ippodamo da Mileto, è suddivisa regolarmente da una serie di strade orientate da nord-est a sud-ovest con cardini perpendicolari, che formano delle insule, tutt’intorno al decumano maggiore: la via dell’Agorà. Qui sorgevano le case nobiliari e le botteghe più importanti. Questa strada attraversa la città da sud-ovest a nord-est, fino alla piazza centrale (Agorà) ed è lastricata in parte in pietra e, cosa alquanto peculiare, in parte in terracotta. Appena entrati nell’area archeologia, sulla destra, si apre l’area delle Terme. Luana Poma, la nostra archeologa, ci evidenzia gli elementi a sostegno del pavimento che permettevano il passaggio di aria calda per riscaldare le stanze. L’ambiente che fungeva da vasca, mostra ancora al visitatore il pavimento a mosaico. Il pendio, fortemente scosceso ha reso necessario il terrazzamento e lo sviluppo in altezza di molte abitazioni. Ne è conseguita la possibilità di raccogliere le acque piovane, con un sistema di stretti canali di terracotta, che convogliavano le acque in enormi invasi, anche comunicanti, impermeabilizzati da un intonaco, ben visibili e dislocate in diversi punti della città. Tra le abitazioni risulta parecchio suggestiva quella denominata Ginnasio: è il nome dato ad una casa patrizia, su tre livelli, dotata di atrio a peristilio, di cui restano ancora tre colonne in stile dorico e la trabeazione costituita da un architrave, il fregio a metope e triglifi e la cornice. Più avanti si trovano i resti dell’abitazione più bella: la Casa di Leda - E` una grande casa patrizia così chiamata per un affresco parietale raffigurante Leda ed il cigno. La dimora si sviluppa intorno ad un peristilio, che presenta ancora un moncone di colonna d`angolo, su un impluvium, circondato da una cornice a mosaico a volute bianche e nere,(anche questo direttamente collegato con una cisterna, per la raccolta delle acque). Gli ambienti circostanti sono riccamente decorati con mosaici e pitture pompeiane, pietosamente conservate dalle intemperie. La decorazione di questa ricca dimora era completata da alcune sculture: due delle quali marmoree ed una in calcare, con mani e piedi in marmo (esposte nell`Antiquarium). Ma la cosa più sorprendente è il ritrovamento, al centro della stanza ad ovest del vestibolo, di un astrolabio (antico strumento astronomico tramite il quale è possibile localizzare o calcolare la posizione del Sole, la Luna, le stelle e i pianeti. Può anche determinare l`ora locale conoscendo la longitudine. Dimostrazione che gli antichi sapevano che la Terra fosse rotonda). Il mosaico, in cui sono state utilizzate lamine di piombo, che descrivono l’orbita dei satelliti, è databile intorno alla metà del II secolo a.C., e proviene, forse, da Alessandria. Continuando la passeggiata, si apre l’ Agorà. Un enorme spazio rettangolare, lastricato da mattoni, che probabilmente era chiuso da un grande portico(come i mercati di Mileto e Pergamo in Asia Minore). In fondo, si aprono nove esedre a pianta rettangolare, dotate di due colonne, circondate da banchi di pietra che dimostrano che si trattava di luoghi destinati al soggiorno ed al riposo. Ai lati delle esedre, due santuari. Il primo caratterizzato da un altare il cui piano inclinato termina con una vaschetta, per la raccolta(forse) del sangue delle vittime sacrificali. Sulla parte superiore dell’altare, tre stele verticali (betili), tipiche del culto fenicio. Il secondo, alla fine delle esedre, presenta i resti di una nicchia, originariamente ospitante le statue di Zeus, come si deduce dall`iscrizione greca trovata in situ. La terrazza superiore ci mostra i resti molto rovinati di un Teatro. Costruito, come quello di Segesta, con i gradoni parzialmente scavati nella roccia ed alle spalle il vuoto con la vista spettacolare del mare. Di epoca ellenistica, è stato riadattato in epoca romana. All`estremità settentrionale della zona, dove termina l`abitato, è una ricca abitazione romanica con peristilio ad otto colonne (tre per lato), che presenta un pavimento a pietre bianche e colorate irregolari. Nell`area centrale è un impluvio con orlo in blocchi modanati. L`ambiente a sud conserva un pavimento in mosaico bianco con un disegno a reticolato in tessere nere, ben conservato. I muri conservano notevoli resti di pitture di III stile, d`età augustea: tirsi verticali che sostengono ghirlande, su fondo bianco. I fichi d’india delimitano la zona sulla sinistra, da cui si gode un panorama mozzafiato su Capo Zafferano, che si erge tra cielo e mare, con ai piedi il paesino di S. Elia e sulla destra, in punta ad una baia, i resti del castello medievale di Solanto.

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