ALL`ANNALORO NON MANCAVA IL PANE di Rocco Fodale

ALL`ANNALORO NON MANCAVA IL PANE di Rocco Fodale

ALL`ANNALORO NON MANCAVA IL PANE di Rocco Fodale

tratto da "Paceco nove" - Ed. La Koinè della Collina

PARTE QUARTA L’inverno – torniamo un poco indietro – non tardò a giungere. Spesso, al risveglio, il cortile appariva coperto dalla patina bianca della brina. Un mattino – nella notte s’era buttato un maestrale violento -, il freddo fuori ghiacciava la faccia. Pietro si sollevò sul collo il bavero della giacca, per recarsi a prendere le pecore, quando improvvisamente scorse nel cortile, che scendeva da un calesse, u zzu Ninu: sui trent’anni, o forse meno, indossava un cappotto di lana con un petto di pelliccia: doveva essere arrivato dal paese in quel momento. Affiorò immediatamente, in Pietro, la nostalgia della famiglia e degli amici. “Assabbinirica, zzu Ninu”, salutò il figlio grande del curàtulo, che portava dentro della legna secca. Salutò pure Pietro. U zzu Ninu lo chiamò a sé: “A ttia, veni cca”. Pietro si avvicinò, e ripeté: “Assabbinirica”. A quell’uomo, che lo trattava sempre in modo affabile, egli era affezionato. Molto più che al Vecchio e al campiere. Hea fai, Pietro?”. Pietro disse timidamente che stava recandosi a prelevare le pecore per la mungitura. “Ti piace lavorare qui?”. “Sì”. “Ti manca la mamma, però…”. Pietro, col capo, fece di sì. “Ma tu capputtedd(r)u ‘unn’hai?”. Pietro sollevò le spalle: “Nzù”. “ E ne senti, freddo?”. Pietro sollevò di più le spalle, e strinse il bavero intorno al collo, in una istintiva confessione di sofferenza. U zzu Ninu improvvisamente si tolse il cappotto, e glielo porse. Pietro lo guardò sbigottito, ed esitò a prender quell’indumento da ricchi. “Vieni, vieni a prenderlo”, disse con un sorriso u zzu Ninu. “E mettilo. Fa il tuo dovere nel lavoro, ma freddo non ne devi sentire”. Pietro indossò il cappotto, e sentì come se gli venisse data la vita. Lo avrebbe abbracciato, quell’uomo, ma si limitò a dire un “Grazie” impacciato, anche perché non era abituato a simili formalità. E tornò al lavoro, a passi di generale dello zar, tra lo sbigottimento del curatòlo e dei suoi figli; e tra i mugugni del Vecchio. Al momento opportuno, mangiò il pane che gli era rimasto dal giorno precedente, sminuzzato nella sua ciotola piena di seri-e-ricotta, ricevette dal Vecchio la pagnotta…Adesso avrebbe voluto chiedere al Vecchio, come aveva fatto inutilmente un’altra volta: “Me lo dà un po’ di companatico?”, ma non lo fece; e via con le pecore. Le stesse cose ri ripeterono, su per giù, settimana dopo settimana, mese dopo mese, anno dopo anno. D’estate, i ritmi e gli orari erano diversi: le pecore venivano riportate al baglio verso mezzogiorno, e fatte rinfrescare sotto una tettoia di canne o di ddisa, e verso le quattro si tornava a pascolare, sino al tramonto. Il vaccaro, che aveva sett-otto anni più di lui, seguiva con le vacche itinerari e talvolta orari diversi, e le vacche, che d’inverno alloggiavano nello stallone, e d’estate fuori – a pilata: attaccati per i piedi a pezzi di legno o di ferro infissi nel terreno -, venivano munte da lui, che aveva più libertà e prestigio rispetto ai pecorai. I braccianti, non di rado, rimanevano al baglio dal lunedì al sabato, in cui tornavano in paese, chi con un carretto d’occasione o con quello del campiere chi con la bicicletta. L’annaloro contadino poteva tornare a casa ogni quindici giorni, mentre i contadini giornalieri tornavano, di solito, la sera. L’annaloro pecoraio, invece, poteva tornarci solo tre volte l’anno: a Natale, a Pasqua e a Ferragosto. Sicché Pietro si ci recava – e per un giorno – solo quelle volte: con lo zio o sul carretto di qualcun altro, e di rado sul calesse del campiere. Quando, il sabato, Pietro vedeva sparire i braccianti, avvertiva come un gran vuoto dentro di sé, e il baglio gli appariva come fosse a lutto, anche se rimanevano il Vecchio – che solo di tanto in tanto si recava a mangiare a casa di uno dei figli -, il vaccaro, e per lo più il curatòlo e i due ragazzi, o almeno uno dei due. Allora, silenzio quasi totale e desolazione, ché il Vecchio parlava a gesti e a monosillabi, il vaccaro pareva muto, il curatòlo componeva “ottave” e i ragazzi non brillavano nei discorsi o chiedevano che egli raccontasse qualche storia. E Pietro non vedeva l’ora che venisse il lunedì mattino, e le maggiori fatiche in qualche modo diventavano benedette. D’estate, si faceva vedere ogni tanto un monacu-ri-cerca, che gli regalava santini e che egli rivedeva sempre con grande contentezza: andava in giro su un mulo, e veniva riempendo qua e là i vettuli: chi gli offriva frumento, chi fave secche, chi ceci, chi altro…Qualche volta che veniva sul tardi, rimaneva a mangiare – e raccontava fatti di nostro Signore -, e a dormire, nello stanzone apposito; e qui non mancavano battute poco castigate, allusioni che provocavano risate più o meno incontrollabili, anche lazzi mordaci; e una volta il monaco si sollevò dalla paglia, e pronunciò frasi minacciose; e nessuno osò più fiatare. Allorché nelle terre vicine cominciarono ad esser costruite le case coloniche, e lo zio, lasciati l’affitto da Codd(r)u-r-oca e la tutela del campiere, ottenne nelle vicinanze una delle prime ad essere terminate, poté recarsi ogni tanto a trovar la zia, e a sentire aria di casa. Fu lì che assisté da lontano, nel giugno del 1940, al primo bombardamento su Trapani: si udivano i botti, e il cielo, laggiù, era pieno di nuvolette grigie. E vide che i muratori, ma anche qualche contadino, inforcarono le biciclette e corsero in paese, perché pensavano che in paese fosse successo qualcosa di grave. Qualche tempo dopo, una notte, una forte esplosione nelle vicinanze del baglio svegliò tutti; e l’indomani fu scoperta una grossa buca a meno di un chilometro, e si sparse la voce che aerei nemici, intravista una luce, avevano sganciato contro una bomba; ma qualcuno avanzò l’ipotesi che un aereo, di ritorno dal bombardamento di Trapani o del campo di aviazione di Milo, aveva sganciato lì l’ultima bomba, che il fuoco di sbarramento della nostra artiglieria aveva impedito di sganciare prima. E su per hiù nello stesso periodo, dopo una serie di cannonate dalle parti di Trapani, si vide come scivolare contro un aereo basso basso, e si ripaò nel torrente vicino, e poté notare, sulle ali dell’aereo, alcuni cerchi concentrici di colore diverso. Nella casa colonica poté vedere più spesso la madre( il fratello no, ché anche lui era andato ad annaloro ), specialmente d’estate, nel periodo della mietitura, allorché rimaneva una ventina di giorni dalla sorella, ad aiutarla nei lavori di cucito, che come sappiamo le permettevano di non morire di fame, e a spigolare: e riusciva a racimolare un bel po’ di spighe, che poi mazziava sul posto, ottenendo il grano che le avrebbe permesso di mangiare con maggiore sicurezza. Una volta, mentre lei spigolava – Pietro intanto era passato alle vacche -, le avvicinò delle manciate di spighe raccolte in un campo vicino, dove da poco era passata una mietitrice meccanica, ma la madre lo rimproverò brusca: “Rribbusciatu, non prendere le cose che non sono nostre!”.

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