IL SEDILE DI PIETRA

IL SEDILE DI PIETRA

IL SEDILE DI PIETRA

La solitudine del pastore Bastiano

La notte scendeva “vagnatizza” e copriva tutto, le foglie, le pietre, e i pensieri del pastorello. Il tempio di Segesta “assummava” da dietro gli alberi e sembrava una montagna che, illuminata dalla luna, “facia scantari”. Bastiano guardava nascosto sotto un macigno e aspettava “lu miraculu” che un vecchio gli aveva raccontato tante volte, quando seduti accanto ad un albero sorvegliavano le pecore: questa era la sua vita, iniziata da bambino. E adesso, diciottenne, si sentiva un uomo e per questo andava appresso alle pecore anche la notte. Il vecchio gli aveva detto che ogni mese, anzi l’ultimo venerdì del mese, a mezzanotte e tre minuti spaccati, da dietro le ultime colonne del tempio compariva una donna bellissima, illuminata dalla luna, con lunghi capelli biondi e vestita con una tunica bianchissima di seta. “A fimmina scinni pianu pianu …” Il ragazzo era affascinato e allo stesso tempo “scantatizzu”, ma si faceva coraggio, e poi non poteva essere una fandonia: “U zzu Pippinu” non diceva menzogne, era un uomo serio ed onesto, e da quando non c’era più, Bastiano aveva preso il suo posto e ne era orgoglioso: adesso era compito suo sorvegliare le pecore, contarle, condurle all’ovile e mungere quel latte così buono e schiumoso. Quella donna, che dentro lui, aveva chiamato “Dea” gli dava la forza di “vivere” quella solitudine che lo accompagnava. E poi, ormai da tempo, avvertiva quella inquietudine che assale i “giovanotti” e che li rende “vivi”. E il pensiero di vedere quella donna bellissima lo mandava in estasi. Aveva tutta la testa bagnata e per questo si autodefinì “gnocculu” come lo appellava affettuosamente “U zzu Pippinu” quando dimenticava la “coppola” per ripararsi dalla rugiada. Si asciugava continuamente con la mano i capelli e si sentiva ancora più fradicio anche per l’attesa: “pacenza” diceva ogni tanto. La notte era propizia: c’era la luna, era venerdì e, soprattutto era l’ultimo venerdì del mese. Guardava ogni momento le lancette dell’orologio che “catammari catammari” si muovevano: unico rumore quel tic tac immerso nel silenzio della notte. D’un tratto, una luce gli illuminò la scena e il ragazzo ebbe un sussulto. Era un uccello, un “aciddrazzu”, che al chiarore della luna si involò da dietro le colonne. Chissà, forse era il segnale che “lu miraculu” stava per avverarsi. Ecco, in lontananza, vide ancora una luce, e questa volta era la “luce” che aspettava: Bastiano “attisò occhi e orecchie”. Una figura femminile comparve tra le colonne. Vestita con una tunica bianchissima e trasparente, con i capelli biondi e lunghi, iniziò la sua discesa. La luna alle spalle la rendeva trasparente e circondata da un’ aureola quasi rosea. Le fattezze della Dea adesso erano ben visibili ed il ragazzo si accorse che camminava quasi librata nell’aria, senza scarpe. D’istinto, Bastiano si alzò affascinato: le parole “d’uzzu Pippinu” s’erano avverate. La donna si avvicinò al pastorello, gli sorrise e lo prese per mano conducendolo presso il sedile di pietra. Tutto preso da una felicità fin allora sconosciuta, il ragazzo si sedette tenendo per mano il suo “sogno”. Un bacio, gli avrebbe fatto raggiungere il culmine della felicità. Un tonfo, all’improvviso: “l’aciddrazzu” di prima andò a sbattere contro la faccia di Bastiano che stramazzò a terra. Si alzò stordito, si guardò attorno e vide che la Dea non c’era più. Guardò il tempio che immobile sembrava canzonarlo. Il sedile era vuoto. Le pecore erano a pochi passi, tutti “iungiuti” per ripararsi dal freddo. Cosa era successo: è stato un sogno ? Da quella notte, Bastiano, ogni fine mese di venerdì, a mezzanotte, andò a sedersi su quel vecchio sedile ad aspettare…così come aveva fatto “U zzu Pippinu” .