L’UNITA’ D’ITALIA RISCRITTA DAI “MERIDIONALI” CON LE RAGIONI DEI VINTI

L’UNITA’ D’ITALIA RISCRITTA DAI “MERIDIONALI” CON LE RAGIONI DEI VINTI

L’UNITA’ D’ITALIA RISCRITTA DAI “MERIDIONALI” CON LE RAGIONI DEI VINTI

QUELLO CHE I LIBRI DI SCUOLA NON DICONO……

E’ proprio vero che noi “meridionali” dobbiamo festeggiare il 150° anniversario della venuta di Garibaldi, come vorrebbe la retorica con cui ci hanno intriso le menti i libri di scuola o dobbiamo essere noi ad indignarci, anzichè Bossi, per il tributo elevatissimo che abbiamo pagato e che continuiamo a pagare? Prima dell’arrivo di Garibaldi in Sicilia, nessuno ci chiamava“meridionali” con disprezzo, eravamo cittadini di un regno secolare che prendeva il nome proprio dalla nostra regione: “Il regno delle due Sicilie”, fondato da Carlo III di Borbone, figlio di Filippo V re di Spagna. Si è vero che i contadini erano poverissimi e i paesi dell’interno erano arretrati, è vero che i nobili vantavano privilegi ed erano signori di enormi latifondi, è vero che la Sicilia era un po’ abbandonata rispetto al resto del Regno, ma è pure vero che il Regno delle due Sicilie vantava: a) 9.390 medici su 9 milioni di abitanti, contro i 7.087 medici del nord su 13 milioni di abitanti, (RINO CAMILLERI – Rivista Historia 1993) b) 1.189.582 occupati nell’industria contro i 345.563 ( in Piemonte e Liguria) e i 465.003 in Lombardia. (RINO CAMILLERI – Rivista Historia 1993) c) L’industria metalmeccanica di Pietrarsa, nel napoletano, produceva binari, carrozze ferroviarie (la prima ferrovia italiana fu Napoli-Portici 1839), macchine a vapore, cannoni, materiali bellici, frantoi, presse e persino (l’avreste mai detto?) lavatrici. Fiorenti erano gli impianti siderurgici in Calabria, (Morgiana e Ferdinandea) e quelli cartieri ad Amalfi. d) San Leucio, nei pressi di Caserta, poi merita una nota a parte. Era chiamata città degli operai (autogestita). Vi sorgeva un opificio, dove insieme a tecniche avanzatissime vi si produceva la seta. Gli operai avevano la pensione e l’assistenza medica (Maurizio Restivo- storico). e) La flotta mercantile borbonica era la terza in Europa per numero di navi e per tonnellaggio complessivo. Fu a Napoli che venne costruita la prima nave a vapore del Mediterraneo (1818), nonché la prima nave italiana con propulsione ad elica, il “Giglio delle Onde”. Rinomati erano i cantieri navali di Napoli, Palermo, Messina, Trapani, la cui marineria era conosciutissima in tutto il mondo (avevamo appreso l’arte del navigare dai nostri antenati fenici). f) L’industria della pesca era fiorentissima, soprattutto la pesca del tonno che dava lavoro a centinaia di migliaia di famiglie, quella del corallo ( i maestri corallari trapanesi erano i più qualificati). g) L’industria della pasta, del vetro, delle porcellane, l’industria tessile, della pelletteria ed infine, nel trapanese, quella del sale e del nostro rinomato vino (che già da tempo avevano attirato i commercianti inglesi). Si può immaginare cos’era il porto di Trapani ed i porti delle città del Sud! I commerci erano fiorenti sia con l’Europa che con i paesi dell’Africa, soprattutto Tunisia ed Algeria, dove i Trapanesi erano di casa. E allora perché l’impresa Garibaldina ebbe successo? Due furono le ragioni principali: la promessa delle terre ai contadini e la corruzione. 1) Quando Garibaldi sbarcò in Sicilia, accentrò tutti i poteri e proclamò (02.06.1860) che chiunque si fosse battuto per la Patria, avrebbe avuto in cambio una proprietà terriera, in base alla possibilità dei comuni e dello Stato. Personaggi di prestigio siciliani organizzarono ed ingaggiarono 870 picciotti, che si batterono come leoni (si vada a Calatafimi a vedere la stele con i nomi di quanti giovani persero la loro vita). 2) Gli inglesi (che avevano ricchi possedimenti in Sicilia e che erano stati rassicurati sul mantenimento delle loro proprietà), finanziarono l’impresa e diedero a Garibaldi 3 milioni di franchi francesi in piastra d’oro turche, moneta franca del mediterraneo. ( Giulio di Vita- Ripensare la storia, ed. San Paolo 1992]. Non a caso Garibaldi sbarcò a Marsala e le navi inglesi al largo lo protessero dai Borboni. Tra i presunti corrotti, Giuseppe Ressa (“Il Sud e l’Unità d’Italia”) annovera il generale Landi, che “regalò” ai garibaldini la vittoria di Calatafimi ordinando la ritirata delle sue truppe mentre stavano prevalendo in battaglia (si dice che si fosse venduto per 14.000 ducati); il generale Lanza, che rendendo inoffensivi i suoi 21.000 uomini, permise a Garibaldi di conquistare Palermo; il ministro borbonico della Guerra, Pianell, e il comandante della guarnigione di Messina, Clary, che bloccarono l’invio di rinforzi al valoroso colonnello Bosco impegnato nella battaglia di Milazzo; i comandanti della flotta delle Due Sicilie, che, fingendosi distratti, non intervennero a impedire il passaggio attraverso lo Stretto dell’esercito garibaldino; infine, il generale Ghio, che a Soveria Mannelli in Calabria si arrese senza combattere, pur disponendo di 10.000 uomini, e così lasciò le province meridionali senza difesa fino a Salerno. Potè, dunque, più la corruzione dei vertici militari della controparte che “l’eroismo del biondo eroe dagli occhi azzurri”, come ci è stato sempre detto? Sarebbe stata, questa l’arma segreta che consentì ai "Mille" di Garibaldi di sbaragliare un esercito ben armato di 100.000 soldati e di disorganizzare la più potente flotta da guerra del Mediterraneo? Dal punto di vista delle finanze pubbliche, il Regno delle due Sicilie possedeva una grossa riserva monetaria e vantava un cambio paritetico. Cioè il valore della moneta stava 1:1. Ogni moneta valeva quello che era. La pressione fiscale era la più bassa d`Europa, a causa della polarizzazione delle ricchezze (testimonianza di questa ricchezza rimane oggi la Reggia di Caserta, che non ha nulla da invidiare alla reggia di Versailles del potente Luigi XIV, re di Francia). Nel regno di Sardegna, invece, le guerre d’indipendenza e gli investimenti nello sviluppo di infrastrutture primarie (ferrovie, strade, canali d`irrigazione), voluti da Cavour per modernizzare l’economia ed inserirla nei circuiti commerciali continentali, avevano compromesso gravemente le finanze. Con la nascita del nuovo Stato Italiano l`attivo del bilancio del Regno delle Due Sicilie fu incamerato nelle casse sabaute. Finiscono così al Nord 443 milioni di lire d`oro, quando tutte le banche degli altri Stati preunitari detenevano un patrimonio totale di 148 milioni (Antonio Girelli –Storia di Napoli- Einaudi 1973). Tutta la politica degli anni che seguirono privilegiò e continua ancora adesso a privilegiare le aree del Nord del Paese, checché ne dica Bossi, complice certa classe politica del Sud che per opportunismo si asservì e continua ad asservirsi agli interessi del Nord. I plebisciti con cui furono annessi gli Stati del Sud, poi, furono una vera e propria farsa. I seggi erano presidiati dall`esercito piemontese e dalla camorra. Le percentuali furono falsificate, tanto da far dichiarare all`ambasciatore inglese "I risultati delle votazioni in Napoli e in Sicilia rappresentano appena i diciannove tra i cento votanti designati; e ciò ad onta di tutti gli artifizi e violenze usate" (Dispacci del Ministro d`Inghilterra a Napoli, Eliot, in data 16 ottobre e 10 novembre 1860). Nel 1873 si usò per la prima volta la definizione questione meridionale. La coniò un deputato al parlamento italiano, intendendo la disastrosa situazione economica che si era venuta a creare nel Mezzogiorno d`Italia a seguito dell`unificazione. Quando il popolo siciliano si accorse di essere stato tradito e che le promesse venivano tutte disattese cominciò a ribellarsi. Già, durante la stessa permanenza di Garibaldi, a Palermo ci furono dei tumulti con dei morti. La gente si accorgeva che non c’erano cambiamenti, ognuno rimaneva al proprio posto. Poi fu la volta di Salemi, ed infine il 1° di agosto la sanguinosa rivolta di Bronte: i contadini bruciarono le case dei proprietari terrieri convinti che potevano prendersi le terre. Fu un massacro! Allora il “patriottico” Bixio con i soldati piemontesi annientò la rivolta, uccidendo i contadini e addirittura un notabile che si era opposto: l’Avv. Nicolò Lombardo. (si legga la novella “La libertà” del Verga che ne descrive in modo raccapricciante i fatti). Le rivolte continuarono per tutta la Sicilia anche negli anni successivi, ma furono tutte sedate, prima dai garibaldini e poi dallo Stato Italiano e ci costarono lacrime e sangue. L’ultima scoppiò nel 1866 a Palermo, furono uccisi 250 persone e ci furono 3.500 arresti. Tutto cambiò per non cambiare niente e le terre demaniali della Sicilia rimasero ai nobili “gattopardi”. (Per parafrasare Giuseppe Tomasi di Lampedusa). Dopo l’arrivo dei Piemontesi, come dicevano i nostri nonni (è stata un’occupazione camuffata?), la situazione economica e sociale siciliana peggiorò e a poco a poco la popolazione cadde in una sorta di rassegnazione. I Siciliani dovettero sobbarcarsi dei debiti dello Stato Italiano (l’impresa garibaldina dopo 2 mesi aveva già generato 10 milioni di ducati di deficit che diventarono 20 milioni nel 1861): aumento dei prezzi, tassa sul macinato, arresti continui, divieto imposto ai contadini di detenere vettovaglie superiori al fabbisogno, coercizione obbligatoria (durava fino a 8 anni), immaginate cosa significava per i contadini aver tolti i figli per 8 anni, unica loro forza lavoro! La delusione, la rabbia, la fame e la miseria di quegli anni generarono di tre fenomeni sociali, prima sconosciuti: • L ’emigrazione. L`emigrazione meridionale ha inizio solo dopo l`unità d`Italia . Fino ad allora le zone interessate erano state le valli del Comacchio, il Piemonte ed il Veneto. Questo è quanto dire sulla povertà delle Regioni Italiane prima dell’Unità! • Il fenomeno mafioso. Nei latifondi, i mezzadri cominciarono a far da mediatori tra i contadini ed il nobile di cui coltivavano le terre. Si definirono uomini d’onore ed all’inizio protessero i contadini dagli arbitrii di colui che era “ padrone” del loro lavoro e della loro vita. • Il brigantaggio. Lo stato di estrema indigenza portò i contadini a ribellarsi per sfuggire alla terribile condanna di una vita di stenti a cui erano stati relegati. Intere famiglie scapparono e si rifugiarono sulle montagne, furono chiamati briganti (o dovremmo definirli partigiani?), da dove diedero inizio ad una vera e propria guerra civile che durò 10 anni. Nemmeno a questo evento si dà il giusto spazio nei libri di scuola, ma questa è tutta un’altra storia , che noi “meridionali” dovremmo riscrivere. Deluso fu lo stesso Garibaldi. Nel 1868, in una lettera ad Adelaide Cairoli, madre dei fratelli Cairoli patrioti, scrisse: "Gli oltraggi subiti dalle popolazioni meridionali sono incommensurabili. Sono convinto di non aver fatto male, nonostante ciò, non rifarei oggi la via dell’Italia meridionale, temendo di essere preso a sassate, essendosi colà cagionato solo squallore e suscitato solo odio” I Savoia, poi, nutrirono un profondo odio verso i Borbone, ma più grande fu la loro paura. Il timore che i Borbone potessero ritornare e riappropriarsi dei loro possedimenti, fu tale che ordinarono imponenti azioni di cancellazione di ogni memoria, perpetrata con la distruzione dei monumenti, delle lapidi e della toponomastica che li ricordava. Mentre, infatti, in altre città italiane esistono monumenti che recano il nome della famiglia regale che li costruì, a Napoli il Real Museo Borbonico è stato immediatamente ribattezzato Museo Nazionale. Non esistono quasi più monumenti, statue e ogni nome borbonico è sparito da tutte le città del Regno. Anche in Sicilia, il nome dei Borbone è stato completamente eliminato dai monumenti delle nostre città e, non a caso, lo troviamo come aggettivo soltanto accanto al nome di alcune carceri ( Antonio Nicoletta- storico e studioso del periodo risorgimentale). A Palermo, ancora oggi, quando un ambiente è messo a soqquadro, gli anziani dicono: “Pari cà ci passò Casa Savoia” Foto di repertorio