tratto da " Paceco nove " Ed. La Koinè della Collina
SECONDA PARTE Vedere il baglio da lontano, imponente sulla collina, gli strinse un poco il cuore. Ma lo zio gli aveva parlato del campiere come di un buon padre, ed egli era cuorioso di conoscerlo: lo immaginava come una specie di Musulinu, sia pure senza il fez e la camicia nera. Qua e la, casolari di un grigio-scuro, e, davanti a qualcuno, bestie che pascolavano. Poche ancora i contadini nei campi, che ora sembravano tappeti verdi ora rettangoli nerastri. Al baglio, si fecero loro incontro alcuni cani, che lo zio chiamò per nome e che scodinzolarono e non abbaiarono. Dall’ampia entrata ad arco romano, uscirono dei contadini con la zappa sulle spalle, che si salutarono con lo zio. Il tempo intanto s’era messo bello. Da una staccionata veniva il belato di numerose pecore, ed all’interno il mugghio di qualche bovino. U zzu Pippinu al baglio non c’era. In compenso c’era il vecchio padre- che, vedovo, s’era trasferito al baglio ad aiutare il figlio campiere, e che li accolse sbrigativamente-, e un omone che poi seppe essere il curatolo: cioè l’uomo responsabile del bestiame, della mungitura, della raccolta del latte, della produzione del “frutto”, cioè della ricotta e del formaggio, e via dicendo. Il curatolo gli diede un cordiale scappellotto, e improvvisamente spuntarono due suoi figli, uno dell’età di Pietro e l’altro di una quindicina d’anni, che gli sorrisero timidi ma affabili. Il curatolo invitò il figlio più grande a spiegare al nuovo venuto quale fosse il suo compito, e il ragazzo obbedì con parole impacciate e scarne, che il curatolo veniva integrando: spingere, con l’aiuto del fratello le pecore lattari alla mungitura, e guidarle poi al pascolo nelle terre circostanti; lui- il ragazzo più grande- avrebbe guidato i stritti , quelle cioè che avevano figliato da poco, e gli agnelli (alle vacche avrebbe pensato un vaccaro); aiutare a fare il “frutto” , e in altri lavoretti. I ragazzi gli fecero veder quindi come si guidava il bestiame nel valliri , lo spazio per la mungitura: compito eseguito dal curatolo e dal figlio grande. Prodotto il “frutto”, gli fu data una ciotola con del seri-e-ricotta, in cui sminuzzò un po’ del pane che gli aveva dato la madre, e mangiò con grande appetito e piacere: aveva un vago ricordo del seri-e-ricotta, di quella volta che in un porta-pranzo l’aveva portato il padre; e in casa era stata festa. “ se questa roba si mangia sempre”, pensò, “qui è il paradiso”. Non appena le pecore furono pronte per il pascolo, il Vecchio gli diede una sacchina e una pagnotta-il baglio era fornito di forno, e il pane si faceva li-, il curatolo raccomandò fra l’altro di non fare dammaggiu, e via per la campagna, insieme con il figlio piccolo del curato. Il ragazzo, che gli sorrideva sempre e dava a vedere di essere contento, ma non spiccicava molte parole, gli indicò, più con le mani sin dove potevano recarsi e gli diede qualche rapido chiarimento. Pietro osservò attentamente come il ragazzo si comportava, e cominciò presto a gridare “Oooh!” , a lanciar parolacce o pietre contro le pecore che si allontanavano, ad aizzare questo o quel cane. Dapprima, con la cautela e l’insicurezza di chi si mette a guidare per la prima volta un’automobile nuova: e guardava con scrupolo i confini, era lesto ad intervenire ad ogni presunta mancanza delle pecore, interrogava con lo sguardo il compagno; ma presto si rese conto che il lavoro non era difficile e divenne più sicuro, e più tranquillo. Durante il pascolo, venne a trovarli il curatolo, che specificò meglio le precedenti raccomandazioni: non sconfinare in terre non “nostre” a parte quelle con la rristuccia , controllare che i cani non si allontanassero, seguire con lo sguardo tutte le pecore e costringerle a seguire il gregge, non fermarsi a parlare con alcuno…A un certo punto, mangiarono: Pietro, la pagnotta, o parte di essa, con qualche oliva donatagli dal compagno. Verso le quattro del pomeriggio, secondo le indicazioni sul sole(o sulla luce) date dal curatolo, tornarono al baglio, e le pecore vennero di nuovo munte-come Pietro apprenderà subito, a pparapàsciu – ,e venne di nuovo effettuato il “frutto”. Dopo di che, siccome c’era ancora luce, si tornò al pascolo, per rimanervi sino alle prime ombre della sera; e le pecore vennero sistemate nella staccionata. Mentre il curatolo veniva rifinendo il formaggio, i braccianti e i ragazzi, giacché il lavoro era finito, si sistemarono attorno a lui, a sbucciare le fave secche e a chiacchierare, e il curatolo, che era pure poeta, declamò qualche “ottava” divertente. Intanto, il Vecchio riscaldava l’acqua per la pasta e alla fine, attorno a un lungo tavolo, mangiarono: col Vecchio, Pietro e gli uomini assunti per i lavori di quei giorni, e il vaccaro-il curatolo e i figli provvedevano a se stessi-: al lume di un fanale a petrolio, pasta con le fave a brodo, in piatti grandi, dove, seduti su panche che dovevano essere molto vecchie, mangiavano in quattro, due da una parte e due dall’altra(Pietro arriverà a contare, in seguito, sino a cinque piatti) lo divertì la battuta di uno che, non appena buttata in bocca la prima cucchiaiata-battuta che si ripeterà quasi ogni sera, e che sul momento non capì bene-: “Si ‘ un si llestu ri peri/ arresti priggioneri”.