MOSTRA DI MAIOLICHE A PALAZZO DRAGO AIROLDI DI SANTACOLOMBA

MOSTRA DI MAIOLICHE A PALAZZO DRAGO AIROLDI DI SANTACOLOMBA

MOSTRA DI MAIOLICHE A PALAZZO DRAGO AIROLDI DI SANTACOLOMBA

Palermo, dal 10 aprile al 29 maggio

"Gli uomini si assisero intorno ad una piccola tavola e posero davanti a sé, su un disco rotante, una massa pastosa. Con la mano sinistra spianavano l’interno, con la mano destra allisciavano la superficie e si vedevano sorgere vasi , come fiori che sbocciavano" [Flaubert da L’education sentimental] È terra e acqua, fuoco e colore, materia trasformata e plasmata; è concretizzazione di gesti, di sapienza acquisita. È popolare e preziosa, antichissima e attuale. È viva, nasce da precisi rituali, in ambienti umidi e odorosi; è curata da mani esperte che modellano l`argilla, amandola e affidandola poi al fuoco che fa il resto. È un materiale planetario, presente in tutte le culture, sempre uguale sempre diverso. È chimica; nasce da segreti gelosamente conservati, di generazione in generazione, che si trasformano, con la consapevolezza di chi sa, in mille oggetti d’uso, discreti, silenziosi, saggi. La maiolica ha adornato dimore reali, ville, castelli, ma è stata anche espressione e conforto di un vissuto popolare, anonima e sapiente. Il racconto del mondo delle fornaci è al centro della mostra, nel nobile Palazzo Drago Airoldi di Santacolomba, affacciato sul Cassaro, a Palermo, una residenza nobiliare, restituita da pochi anni alla città, che sta attuando una bella politica di apertura alla comunità. Qui si parla dei “trisnonni” delle nostre stoviglie quotidiane: ecco l’antenato della glacette, dove si rinfrescavano i bicchieri immergendoli nelle neve; i coloratissimi fangotti (i grandi piatti da portata dove spesso la salsa di pomodoro asciugava al sole per trasformarsi in estratto), le quartare per l’acqua o il vino o l’olio (con il collo più stretto), le quarare per il miele (a Caltagirone), le lucerne antropomorfe (ce ne sono due, novecentesche, con buffi monaci dalle brutte facce gialle); i vasi con decorazione a rilievo di squisita fattura nonostante l’uso quotidiano; le cannate, le bottiglie, gli scaldamani a forma di zucchina che venivano riempiti di acqua calda (la maiolica è un ottimo conduttore di calore); enormi fischietti, acquasantiere da capezzale, scolapasta, splendidi canopi da giardino settecenteschi in terracotta smaltata, crescintiere (contenitori in cui lievitava la pasta con il lievito madre), oliere dal becco allungato. Tra le curiosità, tre teste di moro di fine ‘700, ancora sbozzate con visi dai marcati tratti orientali, quasi dei fantocci, due addirittura di colore nero (si usava il manganese, molto costoso da ottenere); le brocche “bevi se puoi” con il bordo forato, da cui si può versare l’acqua in un unico modo: scherzi e burle per una tavola festosa. E ancora, una rara idra, particolare vaso da farmacia fornito di un rubinetto, dove si conservavano i medicamenti liquidi o anche l’acqua.

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