Oggi, 28 marzo, continua il rito santo
L’episodio rappresentato nel quattordicesimo gruppo, la Spoliazione cui fu sottoposto Gesù prima della crocifissione, anche se non espressamente raccontato, viene indicato nei vangeli canonici: Matteo riferisce che “quando ebbero finito di beffeggiarlo … lo rivestirono delle sue vesti, quindi lo portarono per crocifiggerlo” (Matteo XXVII, 31). Il “Denudamento di Cristo”, come più comunemente viene denominato l’episodio, fa parte dei preparativi per la crocefissione avvenuta nel luogo delle esecuzioni, sul monte Calvario, appena fuori le mura di Gerusalemme. Nell’opera Gesù veste soltanto la tunica di colore blu, senza il mantello rosso che gli era stato posto sopra le spalle per beffarda parodia dei manti degli imperatori. La scena è composta da quattro personaggi: Gesù in piedi, due militari ed un giudeo che, nel momento in cui sta per compiere l’atto di strappare la tunica di dosso a Gesù, perde le sue vesti che scivolano giù lasciandogli il corpo seminudo. Il gruppo è stato eseguito dallo scultore Domenico Nolfo nel 1772 per i venditori di fiori e frutta che lo ebbero affidato proprio in quell’anno. Il viso di Cristo, dall’espressione mite e sofferta che allude alla simbologia dell’Agnus Dei, la vittima sacrificale, corrisponde al modello iconografico definito nella bottega dei Nolfo, più volte riprodotto nelle sculture realizzate da Antonio e dai figli Domenico e Francesco: capo inclinato, volto piccolo e profilato da una barba sottile e bipartita sul mento appuntito, palpebre socchiuse, bocca piccola da cui traspare la dentatura, baffi lunghi e sottili, capigliatura fluente con ciocche che ricadono sulle spalle. È sempre lo stesso volto sofferente di Gesù che si ripete nei gruppi “La caduta al Cedron”, “La coronazione di spine”, “La sentenza” Ne “ La spoliazione” Domenico si sofferma a descrivere l’anatomia di quella porzione del torace di Cristo, messa in mostra dal vuoto lasciato dalla tunica che stanno per strappargli di dosso. Secondo una tradizione popolare, nel raffigurare il giudeo che toglie i vestiti a Gesù, lo scultore si servì come modello dell`aiutante-boia presente a Trapani in quegli anni, denominato “Setticarini”, come per voler sottolineare la crudeltà di quel mestiere paragonandola a quella di chi spogliò Gesù. Lo scultore si sofferma sulla resa anatomica del torace del personaggio, pur tralasciando di curare la parte dorsale: si compiace di caratterizzare il suo volto rendendolo simile ad una caricatura e, nello stesso tempo, di marcare i lineamenti plebei e sgraziati; modella beffardamente i lunghi e folti baffi ondulati, simili alle poche ciocche di capelli presenti solo sulla nuca e sulle tempie che rendono più evidente la calvizie della restante parte del capo. Anche i due militari hanno volti popolari e, in none di una verità realistica, sul naso del soldato che spoglia Gesù compare un grosso neo; entrambi portano elmi romani a calotta, intagliati nel legno e con volute e decori barocchi. Il tribuno in primo piano, con il gesto delle mani, allude all’attesa di avere la veste che sarà poi giocata ai dadi. Secondo Giovanni (XIX ,23-24) “i soldati poi, quando ebbero crocifisso Gesù, presero le sue vesti e ne fecero quattro parti, una per ciascun soldato, e la tunica. Ora quella tunica era senza cuciture, tessuta tutta d`un pezzo da cima a fondo. Perciò dissero tra loro: Non stracciamola, ma tiriamo a sorte a chi tocca”. Una nota paesaggistica è data alla composizione dal piano d’appoggio in sughero, simulante la roccia. Il gruppo scultoreo è collocato sull’originaria "vara" eseguita dallo stesso Nolfo che scolpì su ciascuno dei quattro angoli, una testina alata, di gusto barocco. Intorno al 1788 fu affidato ai bottai; dal 1966 è curato dalla categoria “Tessili e Abbigliamento” che nel 1990 l’ha arricchito di una croce d’argento realizzata dall’argentiere palermitano Antonino Amato su disegno di Anna Maria Vario. In processione i due militari sfoggiano vistosi pennacchi d’argento, fatti realizzare dai bottai dello stabilimento Catalano nel 1902, come indicato nelle iscrizioni. L’opera è stata più volte restaurata: nel 1902 da Antonio Giuffrida, nel 1989 da Benvenuto Cafiero che lo ha ripulito e nel 2003 da Maria Scalisi che ha effettuato il restauro conservativo. Lina Novara