Oggi, 25 marzo, la tredicesima scinnuta
L’Ascesa al Calvario, XIII gruppo processionale, si compone di cinque personaggi: Gesù che “portando la sua croce”, attraverso un sentiero in salita, si avvia “verso il luogo del Cranio, detto in ebraico Golgota” (Giovanni XIX 17); Simone Cireneo, l’uomo incontrato dai soldati nell’uscire da Gerusalemme e costretto “a portare la croce di Gesù” (Matteo XXVII, 32), un centurione che precede Gesù e lo tiene in catene; uno sgherro che infierisce su Gesù frustandolo con un ramo spinoso; Veronica, la pia donna che porge un panno per asciugare il sudore, le lacrime e il sangue dal volto di Cristo, che vi rimarrà miracolosamente impresso. L’episodio, brevemente narrato nei Vangeli canonici (Matteo XXVII, 31-34; Marco XV, 20-23; Luca XXIII, 26-33; Giovanni XIX, 17-18) è uno dei soggetti che, prima della definizione delle stazioni della Via Crucis nel XVIII secolo, ebbe larga diffusione nella Storia dell’Arte stimolando la fantasia degli artisti e la pietà popolare: da Giotto a Simone Martini, da Albrecht Dürer a Pieter Bruegel, da Raffaello a Rubens, tanti artisti si sono cimentati nel rappresentare l’episodio, molto toccante, anche con l’inserimento di scene e personaggi non contemplati nei Vangeli, come ad esempio la figura della Veronica, derivante da una tradizione medievale. Va inoltre ricordato che Raffaello, per la chiesa di Santa Maria dello Spasimo di Palermo, aveva dipinto tra il 1516 e il 1517 “Lo Spasimo di Sicilia”, un’opera ora conservata al Museo del Prado di Madrid, che tanta influenza ebbe sulla pittura e scultura pietistico-devozionale dei secoli XVII e XVIII in Sicilia, grazie anche alla diffusione iconografica, operata dalle numerose copie di pittori come Giuseppe Salerno e Giovan Paolo Fonduli, oltre che da scultori, incisori e maiolicari. “U’ Signori ca cruci ‘ncoddu” come popolarmente viene definito il gruppo trapanese, fu affidato il 6 aprile 1612, dalla Confraternita del Sangue Preziosissimo di Cristo, alla corporazione dei borghesi, vinattieri e carrettieri, definita dei “poveri iurnateri”, cioè che lavoravano a giornata, affinchè, a proprie spese, ne curasse il culto, l’abbellimento e l’uscita in processione; nel 1620 passò ai bottai che lo tennero fino al 1772, anno in cui subentrarono i fruttivendoli; oggi è l’intero popolo a curarlo e portarlo in processione. È questo il “Mistero” più venerato dai Trapanesi ed uno dei più grandi; l’opera, espressione dell’arte devozionale-barocca, risente molto dei vari rifacimenti e restauri subiti nel corso di quattro secoli, che l’hanno resa stilisticamente disomogenea sebbene vi si possono ravvisare taluni accenti drammatici e realistici, confacenti alla “poetica” dei secoli XVII e XVIII. Resta ignoto l’autore, anche se l’originario gruppo, sulla base di indizi documentari, viene riferito allo scultore Nicolò de Renda (prima metà sec. XVII): probabilmente questi è da identificare con il maestro che lavorava il corallo e che nel 1628 aveva firmato i Capitoli della maestranza e nel 1643-45 aveva eseguito sei statue in pietra stuccata di Sante per la chiesa dei Gesuiti. Si presume che lo scultore avesse composto la scena con sole tre figure, alle quali, in seguito all’avvicendamento di varie categorie, furono aggiunte probabilmente le due poste in primo piano: la Veronica e lo sgherro che frusta Gesù. Se si esclude la toccante figura di Gesù, realizzata da Antonio Giuffrida nel 1903 in sostituzione della precedente di Pietro Croce (metà del secolo XIX), il personaggio che merita più attenzione è la Veronica, umanissima nel viso, curata nell’abbigliamento e nella capigliatura, anche se sottoposta a notevoli rimaneggiamenti nell’abito. La composizione è impostata su di un ideale quadrilatero; nella parte mediana, sulla roccia simulata dal sughero che aggiunge una nota paesaggistica, si trova la figura di Cristo stramazzato a terra come la vittima sacrificale, l’Agnus Dei, con l’espressione mite e lo sguardo rivolto al cielo; in primo piano si trovano Veronica, inginocchiata nel porgere il panno per asciugare il volto di Gesù, e lo sgherro seminudo che sferza e incalza Gesù; più arretrati il piccolo centurione romano, in posa convenzionale e Simone Cireneo che, nel sostenere la parte bassa della croce e dare sollievo a Gesù, si pone sulla diagonale che attraversa tutta la composizione, da sinistra a destra, e si sviluppa dal basso verso l’alto, segnata dal braccio lungo della croce. I tre personaggi maschili hanno volti popolari e, in nome di una verità realistica, compare sul viso del centurione un lungo porro. Forti cromie fanno risaltare i calzoni dello sgherro che mette in mostra le parti nude del corpo, pesantemente tornite: la sua posa di spalle trova riferimento nello stesso soggetto dello “Spasimo” di Raffaello e in certa pittura di maniera. Nel 1989 Benvenuto Cafiero ha effettuato una ripulitura con la rimozione di vari strati di vernice depositati sulle statue; successivamente nel 1995 Concetto Mazzaglia ha sottoposto il gruppo ad un restauro conservativo, cui è seguito un intervento di Maria Scalisi. Le statue del gruppo, in occasione della processione vengono ornate con pregevoli manufatti in argento. Opera di alta qualità per fattura, eleganza e raffinatezza di ornato è la grande croce, eseguita da uno dei più stimati ed apprezzati argentieri del XVIII secolo, Ottavio Martinez che nel 1775 eseguì anche le else a testa d’aquila e i puntali delle sciabole destinate a Simone Cireneo, allo sgherro e al centurione. La pregevole corazza di quest’ultimo è stata realizzata da Michele Tombarello nella seconda metà del secolo XVIII. Lina Novara