Oggi, 11 marzo, la caduta al Cedron
Il quinto gruppo della processione dei Misteri, rappresenta Gesù che, dopo l’arresto avvenuto nell’orto di Getsemani, viene condotto scalzo verso la città per essere portato al Sinedrio. Nell’attraversare il fiume Cedron, inceppa tra i sassi e cade nell`acqua. Erano circa le due del mattino: egli è solo, senza gli Apostoli che, fuggendo, lo hanno abbandonato. Si è così avverato quanto aveva predetto durante la cena del giovedì, ed adempiuto quanto scritto nell’Antico Testamento: “Percuoterò il Pastore e le pecore saranno disperse”. Compongono la sacra scena un tribuno e due uomini in armi, dei quali uno, sia pure brutalmente, si china per sollevare Gesù. Tradizionalmente si ritiene che l’episodio sia tratto dai Vangeli apocrifi e dalle rivelazioni di Santa Brigida, ma più verosimilmente sembra ispirata alla spiritualità e alla mistica della Controriforma e collegata all’opera di catechesi dei padri Gesuiti. Nel Vangelo di Giovanni, viene nominato il torrente Cedron, ma non si fa cenno alla "caduta". L’episodio di Cristo che viene spinto e fatto cadere nel torrente è riportato, inoltre, nell’Inexplicabilis mysterii gesta Beatae Veronicae Virginis (1518) del teologo domenicano Isidoro Isolani che raccoglie le visioni della suora agostiniana Veronica di Binasco (1445-1497). Il gruppo attuale sostituisce l’originario, affidato ai naviganti in epoca imprecisata, verosimilmente nella prima metà del secolo XVII. La prima indicazione certa della presenza in processione si ha nel 1696 quando un bando del Senato di Trapani “… ordina e comanda a tutti e qualsivoglia persone suggetti à consolato di qualsivoglia arte e professione che sia come anche tutti li Marinari Naviganti con barche di carina habbiano e debbiano et ogn’uno di loro habbia e debbia associare li loro Misterij della Sacratissima Passione di Gesù Christo sotto pena di onze due per ogni controventore d’applicarsi ad arbitrio dell’Illustre Senato”. Il rifacimento, avvenuto nella seconda metà del secolo XVIII, viene tradizionalmente attribuito a Francesco Nolfo, appartenente alla ben nota famiglia di scultori trapanesi. L’opera è una tra le più interessanti, sotto il profilo artistico, sia per la caratterizzazione dei volti dei quattro personaggi, sia per la composizione che si sviluppa intorno alla figura di Cristo; apprezzabile è inoltre la descrizione delle vesti per il modo di trattare i panneggi e per la cura dei dettagli decorativi. Il volto di Gesù, uno dei più espressivi, nel suo inclinarsi verso la spalla sinistra, secondo l’iconografia barocca del “Cristo doloroso”, attraverso lo sguardo intriso di pietà e dolore denota tutta l’angoscia e la rassegnazione che lo pervade. Nella bottega dei Nolfo era stato collaudato un modello iconografico ben definito del viso di Cristo, che viene riproposto nei vari gruppi realizzati da Antonio e dai figli Domenico e Francesco: volto piccolo su capo inclinato e profilato da una barba sottile e bipartita sul mento appuntito, palpebre socchiuse, bocca piccola da cui traspare la dentatura, baffi lunghi e sottili, capigliatura fluente con ciocche che ricadono sulle spalle. È sempre lo stesso volto sofferente di Gesù che vediamo oltre che in questo gruppo, ne La Coronazione di spine, La sentenza, La Spoliazione, ma anche nel corpo morto di Cristo de La ferita al costato e della Deposizione. Curata è inoltre la fisionomia degli altri tre personaggi che compongono la scena. Come spesso avviene in pittura, anche qui i volti degli uomini che tengono in arresto o torturano Gesù, hanno espressioni quasi bestiali e caratteri somatici fortemente accentuati; l’aspetto esteriore e le posizioni sgraziate accentuano la cattiveria dei loro gesti e servono inoltre ad indicarne l’indole turpe e violenta. In nome di una verità realistica, l’autore del gruppo ha voluto sottolineare, con un brutto neo, le caratteristiche somatiche del giudeo che sta dietro a Gesù, volgarmente denominato “Neli c’a m’budda”, o Peppi Ceusa, forse in riferimento al modello reale. Più gentili le sembianze del tribuno con folta barba ed elmo che si mostra consapevole del suo ruolo e dell’incarico affidatogli, ma anche vigile su quanto sta accadendo. Un’attenzione particolare l’autore pone nella posizione naturalistica della figura, la cui mano al fianco implica una lieve torsione e rotazione del corpo; né manca la cura per l’abito e per i calzari, minuziosamente descritti nella foggia e nei dettagli decorativi con mascheroni di gusto manierista, rimarcati dall’oro zecchino. Nella ricerca delle fonti iconografiche cui attinse l’ignoto autore trapanese del gruppo originario, si possono individuare dei riferimenti in una delle rare raffigurazioni dell’episodio: l’incisione inserita nelle Adnotationes et meditationes in Evangelia, scritta nel 1594 dal teologo gesuita Jerónimo Nadal, dove è rappresentata la scena di Gesù catturato che, attorniato dalle guardie, viene trascinato per la valle. Pregevoli ornamenti in argento di fine secolo XIX, addobbano le statue durante la processione: l’originale aureola di Cristo, dai lunghi caratteristici raggi, il pennacchio dell’elmo e il pomolo del bastone del tribuno, le penne dei due uomini in armi, le tre sciabole, tutti contrassegnati da un veliero, simbolo della Marina Grande, ossia la categoria dei naviganti, composta dal corpo dei marinai o naviganti per commercio, d’alto mare, cui in mistero è affidato. Ancora quattro grandi velieri si trovano dipinti sui lati della “vara”. Il gruppo è stato sottoposto a restauro conservativo nel 1999, ad opera di Concetto Mazzaglia. Lina Novara