Oggi 8 marzo, Gesù nell`orto di Getsemani
Al terzo posto, nell’ordine processionale si trova il gruppo raffigurante “Gesù nell’orto di Getsemani”. La scena si svolge a Gerusalemme, presso lo Getsemani, il frantoio per l’olio, alle falde del Monte degli Ulivi, dove Gesù era andato a pregare dopo la cena del giovedì, portando con sé gli Apostoli Pietro, Giovanni e Giacomo. I tre Apostoli però, vinti dal sonno e dalla stanchezza, cedono al sonno. Anche se allo stato delle ricerche non si conosce l’atto di commissione dell’attuale gruppo, questo viene tradizionalmente attribuito a Baldassare Pisciotta (1715-1792) che, nel ricostruirlo, potrebbe aver riutilizzato parti del precedente “Mistero”, affidato agli Ortolani fin dal 27 aprile 1620. L`iconografia è quella tradizionale della “Orazione nell`orto”, che visualizza il testo evangelico "Padre, se vuoi, allontana da me questo calice"(Luca 22, 42) e "Gli apparve allora un Angelo dal cielo a confortarlo" (Luca 22, 43). L’equilibrata composizione del gruppo si sviluppa lungo una linea diagonale che dall’angelo, in posizione più elevata, attraverso Cristo, giunge a Giovanni: la roccia che fa da ambientazione e, nello stesso tempo, da piano d’appoggio alle figure, sottolinea con efficacia i due momenti: la preghiera di Gesù e il sonno degli Apostoli. Gesù, conformemente a quanto riferisce Luca, è poco distante da loro “quasi un tiro di sasso” e prega inginocchiato; l’angelo, venuto dal cielo a confortarlo, è nell’atto di porgergli con la mano sinistra il calice simbolo della passione e, con la destra, la croce, prefigurazione della morte: calice e croce sono due pregevoli manufatti in argento, eseguiti a Trapani nella prima metà del secolo XVII. “In preda all`angoscia”, dice Luca, Gesù “pregava più intensamente; e il suo sudore diventò come gocce di sangue che cadevano a terra”. Il sudore traspare dall’incarnato pallido del suo volto estatico con le pupille rivolte verso l’alto, fisse in quelle dell’angelo: gli sguardi intensi alludono anche al colloquio che intercorre tra loro. La resa fisionomica delle due figure e la ricercatezza dei dettagli come i muscoli del collo e le mani di Gesù, il doppio mento e i capelli dell’angelo all’indietro, a significare il movimento nell’aria, raggiungono più alti livelli di realismo espressivo rispetto alle altre figure del gruppo. Rendendo quasi estatica la posa di Gesù, lo scultore vuol far trasparire sul suo viso quel momento di grande turbamento da Lui avuto, che rivela le sue due nature, quella umana e quella divina. Anche se si è lontani dalla potenza delle estasi barocche della scultura romana, ai fini espressivi risultano efficaci il gesto delle braccia allargate, la bocca semiaperta dalla quale si intravedono i denti, la posa delle mani che indica preghiera e rassegnazione. Gli Apostoli, più in basso, dormono tranquilli sul piano roccioso e non partecipano all’evento; l`ordinata scansione dei piani pone in posizione avanzata Giovanni, e più arretrati Pietro e Giacomo le cui figure vengono descritte in modo naturalistico: Pietro, seduto, sostiene il capo con la mano sinistra e fa da vertice allo schema triangolare formato dalle tre statue. Ha la tradizionale fisionomia fissata nel V secolo: un uomo di mezza età, dai tratti somatici marcati e popolani, con barba crespa, capelli grigi, ricci e corti, stempiato con ricciolo isolato. Giovanni, il più giovane, in primo piano è imberbe, con baffi e capelli lunghi che ricadono a ciocche sulle spalle. Giacomo, fratello maggiore di Giovanni, è riconoscibile per la conchiglia applicata sulla mantellina, simbolo dei pellegrini che si recavano a Santiago de Compostela e che, per comprovare l’avvenuto pellegrinaggio, si spingevano fino al mare di Finistere per raccogliere una conchiglia. Ha un viso dai lineamenti gentili e un naso affilato, messo più in evidenza dal forte reclinare indietro del capo. Accurata è la resa ad intaglio delle capigliature e delle barbe; in particolare i capelli di Gesù - a ciocche ordinate e fluttuanti con quelle più lunghe che ricadono sopra le spalle e sul lato destro del collo - assieme alla barba corta bipartita sul mento, sono motivi iconografici comuni ai crocefissi trapanesi sia coevi che del secolo XVII, ed in particolare al Crocifisso del Calvario della chiesa di San Nicola, attribuito ad Andrea Tipa. Probabilmente l’artista di “Gesù nell’orto” consultò stampe devozionali, incisioni di opere di grandi artisti, repertori iconografici che a Trapani erano presenti presso la Compagnia di Gesù ed anche nella scuola e nei laboratori francescani. In particolare le figure dell’angelo e di Gesù sembrano tratte dalla incisione ORAT CRHISTUS IN ORTO, contenuta nell’opera illustrata “Adnotationes et meditationes in Evangelia”, scritta nel 1594 dal teologo gesuita Jerónimo Nadal: si notano infatti la stessa posa e la stessa composizione. L’autore poté anche attingere alle incisioni di Albrecht Durer, in particolare per la figura di Pietro dormiente con la mano appoggiata alla guancia e con la spada, ed anche per la posa distesa di Giovanni. Né vanno dimenticati i santini che nel ‘600 e nel ‘700, circolavano presso le chiese e i conventi. I personaggi del sacro gruppo vestono tutti lunghe tuniche dalla linea morbida, strette a vita da cinture colorate con oro zecchino e sono provvisti di un ampio mantello. Con l’ultimo restauro effettuato dalla Soprintendenza di Trapani nel 2002 (dopo quelli di Antonio Giuffrida nel 1902 e di Giuseppe Cafiero nel 1949) sono riapparsi i decori e le profilature in foglia di oro zecchino che impreziosiscono gli abiti dei cinque personaggi. Molto ricercati risultano inoltre i drappeggi degli abiti, ricchi di effetti chiaroscurali. Una nota scenografica aggiunge alla composizione il piano d’appoggio simulante la montagna su cui si svolge l’episodio evangelico, realizzato con il sughero, stesso materiale utilizzato per creare i volumi interni delle statue e per modellare la nuvola su cui si erge l’angelo. Nel 2020, in occasione delle celebrazioni dei quattrocento anni di affidamento del gruppo al ceto degli Ortolani, è stato effettuato un intervento di manutenzione straordinaria ad opera di Gaetano Edoardo Alagna. Lina Novara