LA LAVANDA DEI PIEDI

LA LAVANDA DEI PIEDI

LA LAVANDA DEI PIEDI

Gesù davanti a Pietro nell'atto di apprestarsi a lavare i piedi all'Apostolo.

Prima della cena del giovedì, a Gerusalemme, nella sala del cenacolo, Gesù impartisce agli Apostoli una lezione di grande umiltà e di carità: cintosi i fianchi con un panno e versata dell’acqua in un catino, lava i piedi agli Apostoli e rivela anche di conoscere il proprio destino. Il gesto riassume tutta la vita di Gesù, il quale «non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (Marco, 10-45).
Pietro ha in un primo momento una reazione di stupore e si rifiuta, ma quando Gesù gli dice «Se non ti laverò, non avrai parte con me», gli risponde «Allora, Signore, non soltanto i piedi, ma anche le mani e il capo» (Giovanni XIII, 2-9).
L’attuale gruppo scultoreo che sostituisce quello originario affidato ai pescatori nel 1621 dalla Confraternita del Sangue Preziosissimo di Cristo ai pescatori perché ne avessero cura e provvedessero a portarlo in processione, è composto dalle figure di Gesù, Pietro e di un servo che versa l’acqua. L’opera tradizionalmente viene attribuita a Mario Ciotta (fine secolo XVII-1750 ca.), maestro specializzato nella tecnica del legno tela e colla, ritenuto autore anche del primo gruppo La Separazione, con il quale La lavanda dei piedi condivide l’equilibrio formale e compositivo e la ricerca espressiva.
Gesù è rappresentato in ginocchio, davanti a Pietro, con un panno cinto in vita, secondo la fonte evangelica di Giovanni, nell’atto di apprestarsi a lavare i piedi dell’Apostolo; dal suo viso, intensamente espressivo, traspare il muto colloquio che intercorre tra Lui e il discepolo, al quale comunica, fissandolo intensamente negli occhi, il significato simbolico della lavanda dei piedi: un gesto di umiltà e di purificazione. Pietro ha la fronte corrugata per lo stupore e si piega verso Gesù: la posizione delle mani connota la volontà di sollevare il Divino Maestro dalla posizione in ginocchio. L’Apostolo ha i connotati fisionomici iconograficamente fissati nel V secolo dalla descrizione di Eusebio di Cesarea (III-IV secolo), che rimarranno pressoché invariati nel tempo permettendo di riconoscerlo facilmente: un uomo di mezza età, dai tratti somatici marcati e popolani, con barba crespa, capelli ricci e corti, stempiato con ricciolo isolato.
Parte integrante della scena è il servo, con il suo copricapo orientale, che partecipa incuriosito di quanto sta accadendo e poco attento al suo compito di versare l’acqua. Il suo abbigliamento, particolarmente curato nei dettagli decorativi, fa tornare in mente quello delle statuine da presepe in legno tela e colla che rappresentano magi e paggi.
La sedia di gusto barocco, un po’ troppo ingombrante sulla superficie della vara, allude all’arredo della grande stanza del cenacolo, al primo piano di un edificio, indicato nelle descrizioni evangeliche.
La composizione del gruppo con Gesù che addita la bacinella, in ginocchio davanti a Pietro in piedi, e con il servo in secondo piano, la cui figura, non documentata nei Vangeli, in talune opere d’arte è sostituita da quella di un bambino, trova riferimenti nella postura degli stessi tre personaggi del dipinto La lavanda dei piedi, di Jacopo Robusti detto il Tintoretto, del 1547, custodito nel Museo del Prado a Madrid: segno questo che i maestri trapanesi erano a conoscenza delle opere dei grandi artisti attraverso stampe e incisioni, in gran parte diffuse dai Gesuiti, ma presenti anche nella scuola e nei laboratori francescani.
Il gruppo che oggi viene portato in processione è stato sottoposto a vari interventi di restauro: nel 1902 ad opera di Antonio Giuffrida e, dopo i danni subiti durante l’ultimo conflitto mondiale, per mano di Giuseppe Cafiero nel 1946. Ulteriori interventi sono stati effettuati nel 1998 da Concetto Mazzaglia e nel 2012 da Maria Rita Morfino.

LINA NOVARA

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